mercoledì 3 giugno 2020

step #20 Zibaldone: struttura deterministica della Natura?

Lo svolgersi del pensiero di Giacomo Leopardi può essere seguito all'interno delle fitte pagine dello Zibaldone che egli scelse come titolo del proprio diario intellettuale, dato il significato di "vivanda preparata con molti ingredienti". Le numerose letture giornaliere infatti scaturivano in meditazioni che qui potevano tradursi in parole. Al centro del suo interesse è la Natura e la riflessione su quale sia il suo carattere fondamentale, la sua struttura essenziale. Egli passerà dall'identificarla con una madre benevola che ha offerto all'uomo la facoltà immaginativa e le illusioni come rimedi ai propri mali, affinchè fosse distolto dal realizzare le proprie misere condizioni, a identificarla con un meccanismo cieco, indifferente alla sorte delle sue creature. Nonostante egli ami rappresentarla, miticamente e poeticamente, come una divinità malvagia, filosoficamente egli la reputa essere un meccanismo inconsapevole, somma di leggi oggettive non regolate da una mente provvidenziale dove la realtà non è che regolata da leggi meccaniche di distruzione dei singoli per la conservazione del mondo.
Sebbene il pensiero di Leopardi sia stato a lungo considerato meramente una forma di pessimismo cosmico, in realtà, come fa notare Massimo Cacciari , proprio sul pessimismo, ovvero sulla lucida consapevolezza della tragica condizione dell'umanità può fondarsi quello che per Leopardi è il progresso autentico della civiltà, quello civile e morale. La falsa idea di progresso diffusa dalle ideologie ottimistiche del suo tempo mitizzavano infatti una "nuova età dell'oro" a cui avrebbero portato le conquiste tecnologiche e le riforme politiche dei tempi prossimi, ma che non avrebbe coltivato il vero amor tra gli uomini. Solamente la presa di coscienza da parte degli uomini della loro infelicità e miseria, e del fatto che responsabile di queste fosse la natura, avrebbe indotto gli uomini di quel secolo suberbo e sciocco a riunirsi in social catena per fronteggiare uniti quell'implacabile ma comune nemica. Il bisogno di lottare gli uni al fianco degli altri avrebbe indotto alla solidarietà reciproca e fraternità, vero indicatore di pro-gresso.
Questi ragionamenti si ritrovano eloquentemente nelle parole di Leopardi; parole che riporto di seguito, seguendo il loro evolversi fino a culminare infine nel 'Dialogo della Natura e di un Islandese' che, sebbene non sia presente nello Zibaldone, viene citato da Leopardi in numerosi frammenti annotati nello Zibaldone dei suoi pensieri (il 2 giugno 1824 scriveva "Non si può meglio spiegare l’orribile mistero delle cose e della esistenza universale (vedi il mio Dialogo della Natura e di un Islandese, massime in fine) che dicendo essere insufficienti ed anche falsi, non solo la estensione, la portata e le forze, ma i principii stessi fondamentali della nostra ragione.)


    Hekla vicino all'eruzione
(In foto il vulcano Hekla, Islanda. Leopardi scelse come protagonista di un celebre dialogo un Islandese, tormentato dal gelo e dal vulcano Hekla, simbolo dei flagelli di una natura indifferente all'uomo)


20 agosto 1821, dallo Zibaldone  
  La natura è madre benignissima del tutto, ed anche de’ particolari generi e specie che in esso si contengono, ma non degl’individui. Questi servono sovente a loro e del genere, della specie o del tutto, al quale serve pure talvolta con proprio danno la specie e il genere stesso. È già notato che la morte serve alla vita e che l’ordine naturale è un cerchio di distruzione e riproduzione e di cangiamenti regolari e costanti quanto al tutto ma non quanto alle parti, le quali accidentalmente servono agli stessi fini ora in un modo ora in un altro. Quella quantità di uccelli che muore nella campagna coperta di neve, per mancanza di alimenti, la natura non l’ignora, ma ha i suoi fini in questa medesima distruzione, sebben ella non serva immediatamente a nessuno. Per lo contrario, la distruzione degli animali che fanno gli uomini o altri animali alla caccia serve immediatamente ai cacciatori, ed è un inconveniente accidentale e una disgrazia per quei poveri animali; ma inconveniente relativo e voluto dalla natura, che gli ha destinati per cibo ec. ad altri viventi piú forti.

5-6 aprile 1825, dallo Zibaldone (data posteriore al Dialogo della Natura e di un Islandese, vedi sotto)
 [...]Anzi il fine della natura universale è la vita dell’universo, la quale consiste ugualmente in produzione, conservazione e distruzione dei suoi componenti, e quindi la distruzione di ogni animale entra nel fine della detta natura almen tanto quanto la conservazione di esso, ma anche assai piú che la conservazione, in quanto si vede che sono piú assai quelle cose che cospirano alla distruzione di ciascuno animale che non quelle che favoriscono la sua conservazione; in quanto naturalmente nella vita dell’animale occupa maggiore spazio la declinazione e consumazione, ossia invecchiamento (il quale incomincia nell’uomo anche prima dei trent’anni), che tutte le altre età insieme (vedi Dialogo della natura e di un Islandese, e Cantico del Gallo silvestre), e ciò anche in esso animale medesimo indipendentemente dall’azione delle cose di fuori; in quanto finalmente lo spazio della conservazione, cioè durata di un animale, è un nulla rispetto all’eternità del suo non essere, cioè della conseguenza e quasi durata della sua distruzione. [...]

9 aprile 1825(posteriore al Dialogo)
   Tutta la natura è insensibile, fuorché solamente gli animali. E questi soli sono infelici, ed è meglio per essi il non essere che l’essere, o vogliamo dire il non vivere che il vivere. Infelici però tanto meno quanto meno sono sensibili (ciò dico delle specie e degli individui) e viceversa. La natura tutta, e l’ordine eterno delle cose non è in alcun modo diretto alla felicità degli esseri sensibili o degli animali. Esso vi è anzi contrario. Non vi è neppur diretta la natura loro propria e l’ordine eterno del loro essere. Gli enti sensibili sono per natura enti souffrants, una parte essenzialmente souffrante dello universo. Poiché essi esistono e le loro specie si perpetuano, convien dire che essi siano un anello necessario alla gran catena degli esseri, e all’ordine e alla esistenza di questo tale universo, al quale sia utile il loro danno, poiché la loro esistenza è un danno per loro, essendo essenzialmente una souffrance. 

21-30 maggio 1824 dal Dialogo della Natura e di un islandese:
versi 125-170
Natura - Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l'intenzione a tutt'altro, che alla felicità degli uomini o all'infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n'avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.
 Islandese -  Ponghiamo caso che uno m'invitasse spontaneamente a una sua villa, con grande instanza; e io per compiacerlo vi andassi. Quivi mi fosse dato per dimorare una cella tutta lacera e rovinosa, dove io fossi in continuo pericolo di essere oppresso; umida, fetida, aperta al vento e alla pioggia. Egli, non che si prendesse cura d'intrattenermi in alcun passatempo o di darmi alcuna comodità, per lo contrario appena mi facesse somministrare il bisognevole a sostentarmi; e oltre di ciò mi lasciasse villaneggiare, schernire, minacciare e battere da' suoi figliuoli e dall'altra famiglia. Se querelandomi io seco di questi mali trattamenti, mi rispondesse: forse che ho fatto io questa villa per te? o mantengo io questi miei figliuoli, e questa mia gente, per tuo servigio? e, bene ho altro a pensare che de' tuoi sollazzi, e di farti le buone spese; questo replicherei: vedi, amico, che siccome tu non hai fatto questa villa per uso mio, così fu in tua facoltà di non invitarmici. Ma poiché spontaneamente hai voluto che io ci dimori, non ti si appartiene egli di fare in modo, che io, quanto è in tuo potere, ci viva per lo meno senza travaglio e senza pericolo? Così dico ora. So bene che tu non hai fatto il mondo in servigio degli uomini. Piuttosto crederei che l'avessi fatto e ordinato
espressamente per tormentarli. Ora domando: t'ho io forse pregato di pormi in questo universo? o mi vi sono intromesso violentemente, e contro tua voglia? Ma se di tua volontà, e senza mia saputa, e in maniera che io non poteva sconsentirlo né ripugnarlo, tu stessa, colle tue mani, mi vi hai collocato; non è egli dunque ufficio tuo, se non tenermi lieto e contento in questo tuo regno, almeno vietare che io non vi sia tribolato e straziato, e che l'abitarvi non mi noccia? E questo che dico di me, dicolo di tutto il genere umano, dicolo degli altri animali e di ogni creatura.
Natura-Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest'universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l'una o l'altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Pertanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento.
Islandese - Cotesto medesimo odo ragionare a tutti i filosofi. Ma poiché quel che è distrutto, patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita in felicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?

Mentre stavano in questi e simili ragionamenti è fama che sopraggiungessero due leoni, così rifiniti e maceri dall'inedia, che appena ebbero forza di mangiarsi quell'Islandese; come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno. Ma sono alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo vento, levatosi mentre che l'Islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui disseccato perfettamente, e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale città di Europa

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