L'opera di Francois Jullien icasticamente rappresentata dai libri 'Essere o Vivere' e 'L'Apparizione dell'altro, lo scarto e l'incontro'
è a mio avviso occasione per una riflessione intorno a un'etica lontana
dai paradigmi occidentali. Ci troviamo in un'epoca che si autodefinisce
globalizzata, quando invece, proprio ora in concomitanza con lo
scatenarsi di una pandemia globale, i gretti interessi economici di ogni
nazione prevalgono sui diritti dei singoli e le Nazioni straniere
diventano un potenziale concorrente e nemico. L'apertura all'Altro, di
cui si è tanto discusso in Italia negli ultimi anni, non è che una
comoda insegna di facciata per un Occidente abituato a interpretare il
mondo in base all'opposizione identità-differenza. Esso, noi tutti,
proveniamo da una lunga tradizione che parte dalla filosofia platonica
per giungere a quella heideggeriana e si basa sulla ricerca della natura
e definizione della Sostanza, la cui etimologia latina sub-stant-ia a
indicare qualcosa che non muta mai in quanto 'sta sotto', ne
costituisce le fondamenta, ne è la struttura portante. E abbattere i
muri portanti significa far crollare sotto al proprio peso l'intero
edificio che nella storia del pensiero di concretizzò nelle tante
metafisiche esterne al mondo sensibile in cui l'uomo si alien-ò.
Jullien propone un'alternativa gentile, svincolata dall'attacamento
all'ego culturale cui si appartiene e dalla visione di un'identità
immutabile, una visione che, se fatta propria, rivoluzionerebbe,
sconvolgerebbe, in quanto diversa, ma risolverebbe tanti dissidi. Si
pensi solo ai contrasti politici tra i virologi schierati dalla parte
del potere vigente e gli scienziati che dal potere si sono tenuti
lontani per condurre i loro studi per puro amore del sapere e della
ricerca. Quando il bene dei cittadini doveva essere una priorità,
l'interesse personale venne anteposto. Non solo, si pensi ai contrasti
tra figure professionali diverse nella gestione di un problema comune a
entrambi, conseguenza di un eccessiva specializzazione dei saperi del
mondo attuale. Separati da barriere immaginarie e quanto mai robuste, il
di-alogo tra discipline è ostacolato. Al contario il sapere è un Tutto
organico e le varie discipline non sono aspetti intercorrelati di un
sistema complesso ( una delle interpretazioni presentate in questo
blog).
Jullien, filosofo ellenista apertosi alla Cina cercando un
discorso obliquo con il pensiero orientale, compie quello che i filosofi
scettici chiamavano ἐποχή ( epochè ), ovvero
sospensione di giudizio. Per incontrare l'Altro, inteso nel senso di
tutto ciò di esterno a noi, egli si libera dall'approccio strutturale e
gerarchicamente e cronologicamente organizzato dell'Occidente che
ricerca sempre le catene di causa ed effetto all'interno di un ordine
consequenziale. Quest'approccio strutturalista, che in questo blog ho
sostenuto e di cui ho mostrato i pregi, vacilla di fronte alle parole di
Jullien, che invitano la mente a disfarsi, a portare alla luce quelle
pieghe in cui si nasconde lo scarto. E il significato intimo di
questo termine emerge da quel luogo in cui l'inconscio collettivo di una
cultura sedimenta per primo: il linguaggio. La facile contrapposizione
tra pensiero occidentale e orientale che vede nel primo la preminenza
del Soggetto e nel secondo della Situazione è un'interpretazione
scaturita da un pensiero che non si discosta dai propri paradigmi e
contrappone in modo non complementare ingombranti categorie
precostituite, quelle che antepongono il soggetto all'oggetto. Egli si
ricorda delle proprie origini occidentali ma si posiziona sulla soglia
nel momento dell'incontro con l'alterità, una soglia che permette
l'accesso a, mentre rimanere indietro significherebbe ergersi a soggetto
giudicante e impedire il fluire della pluralità che permette la
conoscenza.
Scrive Francesca Ruina in "Un altro accesso all'alterità":
"Ben diverso dalla vecchia coppia filosofica identità-differenza, lo
scarto di pone come una figura di disturbo(dérangement) e non di
ordinamento (rangement), come ciò che non fa apparire identità ma
fecondità, tensioni produttive."
E la
ricerca dello scarto comincia per Jullien dalla lingua, dai sinonimi e
non dalle antinomie come una mentalità occidentale sarebbe propensa a
fare. Ed è così che realizziamo come la nostra lingua sia connotata a
priori, sulla base del concetto di 'priorità' e 'direzionalità', tanto
che nel domandare la statura usiamo le parole "Quanto sei alto/a?" e non
"Quanto sei alto/a-basso/a?", con il rischio di offendere chi considera
insoddisfacente la propria conformazione fisica, abituato a considerare
l'altezza preferibile alla bassezza. Al contrario, in cinese la parola
statura è
高低 (gãodī: alto-basso).
Emblematica in tal senso la parola cosa, connessa al
latino 'causa' , perciò riconducibile alla visione consequenziale degli
eventi, che in cinese si traduce in 'oriente e occidente', a indicare un
tutto che comprende opposti complementari, senza confini netti di
definizione, la cui essenza risiede nel nesso e non nell'identità:
东西
(döng
xi:oriente e occidente)
In
conclusione, una nuova etica per quanto concerne il mondo occidentale
può nascere nel momento in cui si prenda coscienza del macigno che ci
portiamo dietro: l'Ontologia, un'ontologia che non muta e che impedisce
l'accesso alla pluralità del termine cultura. E l'ambizione alla ricerca
dello scarto destrutturato, in quanto libero da ogni visione
strutturalista, risveglia dal torpore di un sonno protrattosi a lungo la
mentalità occidentale, offrendole una possibilità di maturare senza la
guida certa di alcuna metafisica.
There is an interest in that which is hidden and which the visible does not show us. ― René Magritte
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