giovedì 2 aprile 2020

step #06 Da Flatlandia a Murakami: come la letteratura interpreta la realtà

"Yet, like a second Prometheus, I will endure this and worse, if by any means I may arouse in the interiors of Plane and Solid Humanity a spirit of rebellion against the Conceit which would limit our Dimensions to Two or Three or any number short of Infinity."(Flatland)

Vettori che, allungandosi e contraendosi in tutte le direzioni grazie all'affascinante natura delle Matrici, quella della trasformazione, non possono che raggiungere e superare ogni punto dello spazio tridimensionale. Questa è l'intuizione che il corso di Algebra Lineare porta noi futuri ingegneri all'inizio del nostro percorso ad avere. Una struttura logica, coerente, lineare sembra celarsi dietro alle cose, ed è così che ci troviamo a rivivere la visione del Quadrato protagonista di quello che fu un romanzo profetico per il proprio tempo, scritto quando Einstein era ancora in fasce e l'idea dello spazio-tempo sarebbe arrivata solamente un quarto di secolo più tardi, il cui autore non era né un fisico né un matematico, bensì un letterato appassionato di teologia e letteratura, Edwin A. Abbott. Reso scettico dall'abitudine a una vita confinata nelle due dimensioni, il Quadrato, la cui reputazione era quella di essere un grande logico e matematico, accusa di stregoneria il profeta arrivato dalla Terza dimensione dello spazio per rivelare la verità ultima sulla struttura del reale. Il Quadrato si ritrova a difendersi con le stesse parole a lui rivolte in sogno dalla Linea, sovrano della propria dimensione e con cui nel corso della storia umana gli uomini increduli si difesero dalle idee rivoluzionarie di grandi pensatori come Giordano Bruno il quale arrivò a postulare l'esistenza di mondi paralleli.

"You ask me to believe that there is another Line besides that which my sense indicate, and another motion besides that of which I am daily conscious.
I, in return, ask you to describe in words or indicate by motion that other Line of which you speak. Instead of moving, you merely exercise some magic art of vanishing and returning to sight;[...]Can anything be more irrational or audacious?Acknowledge your folly or depart from my dominions"

Ma il compito del filosofo, risponderebbe Platone, è quello di ritornare forte della verità contemplata tra gli uomini incatenati nella caverna i quali non sanno distinguere gli idoli, le immagini, da ciò che esse sono, ombre. Né l'analogia né le parole sono sufficienti ad aprire gli orizzonti speculativi del Quadrato e il suo profeta si vede costretto a strapparlo dalla bidimensionalità di flatlandia per condurlo nello Spazio a contemplare la trama tridimensionale dell'Universo. Suggestionato da tanta meraviglia, il piccolo pensatore non può che postulare l'esistenza di una quarta, quinta, anzi infinite altre dimensioni prodotte dalla progressione stessa delle misure: come un punto produce una linea con due punti terminali, una linea produce un quadrato a quattro punti terminali e un quadrato produce un cubo a otto punti terminali così questa è evidentemente una progressione geometrica e lascia intravedere un'ascensione infinita.

"I crave, I thirst, for more knowledge [...] just as there was close at hand, and touching my frame, the land of Three dimensions, though I, blind senseless wretch, had no power to touch it, no eye in my stomach to discern it, so of a surety there is a Fourth Dimension, which my Lord perceives with the inner eye of Thought"

Ed è su quest'ultima frase che vorrei soffermarmi. Ad oggi non si è ancora arrivati a una comprensione totale della struttura della nostra dimensione, e se a fine Ottocento si pensava che la fisica classica rappresentasse una descrizione esauriente dei fenomeni naturali, la rivoluzione quantistica demolì ogni certezza al riguardo, relegando al mondo macroscopico le antiche intuizioni. Ma la natura era stata oggetto di indagine filosofica dall'alba dei tempi, sistematicamente dalla Fisica di Aristotele, e forse avrebbe potuto fornire delle risposte in un momento di sconcerto come quello che causò la meccanica quantistica. Kant realizzò un secolo prima l'importanza della prospettiva nel processo di conoscenza e si fece iniziatore di quella Rivoluzione Copernicana della conoscenza che pose al centro del processo cognitivo il soggetto con la propria mente e non più l'oggetto. Ed è sulla scia di questo cambio di prospettive che penso che per comprendere la realtà intorno a noi sia in primis necessaria una comprensione più profonda della struttura del nostro pensiero, interfaccia con tutto ciò che è esterno e altro da noi. E la letteratura costituisce un primo passo in questa direzione, essendo frutto di quella immaginazione che gli autori dell'Enciclopedie ritenevano, al pari della memoria e della ragione, tassello imprescindibile del processo cognitivo. Nel libro 'La fine del Mondo e il Paese delle Meraviglie' Haruki Murakami si avventura nell'intricato labirinto della coscienza umana e arriva a sfiorare il solipsismo portando il lettore a chiedersi se la realtà stessa non sia un prodotto della nostra mente. Nel clima distopico di una guerra informatica per il possesso di una chiave crittografica infallibile, un ricercatore solitario dedito da tutta una vita allo studio disinteressato della biologia sembra aver compreso il funzionamento della mente umana, simile a un intricato sistema di circuiti informatici tenuti separati da un labile meccanismo facilmente sormontabile. Oltre al circuito cosciente e quello inconscio sarebbe possibile implementarne altri alimentati dal 'nucleo di coscienza', una realtà mentale dentro a ciascuno di noi, inaccessibile ai più, in cui si nasconde la nostra essenza autentica, slegata dalle dimensioni cui siamo abituati a pensare e soprattutto atemporale. In un dialogo degno di nota Murakami riflette sulla struttura del nostro pensiero, ripresentando il dilemma della freccia di Zenone e arrivando a contrapporre alla fugacità della realtà a noi esterna l'eternità del pensiero;un pensiero che è in grado di condensare e assommare in un unico istante atemporale tutto ciò che è passato di fronte ai nostri occhi in quei processi che chiamiamo apprendimento e esperienza.
Di seguito il dialogo tratto da 'La fine del Mondo e il Paese delle Meraviglie':

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