lunedì 6 aprile 2020

step #07 L'ordine divino universale: la visione dantesca

E' solo nella terza cantica della Divina Commedia, il Paradiso, che Dante giunge alla contemplazione dell'ordine divino che regola l'Universo  e sono le parole della sua guida benevola a rivelargli come in quest'ordine le creature razionali riconoscano il segno della presenza divina, fine ultimo a cui è subordinato l'ordine stesso. Questa struttura armoniosa vede le cose create vertere in condizioni disparate, a diversi livelli di distanza da Dio, e tendere verso fini diversi a seconda del particolare istinto che le guida: è questo istinto a portare Dante e Beatrice verso il cielo Empireo, luogo per essi prestabilito. E la poesia, vertice sublime della potenza espressiva umana, ci parla da sé:


La novità del suono e ‘l grande lume
di lor cagion m’accesero un disio
mai non sentito di cotanto acume.                                 84

Ond’ella, che vedea me sì com’io,
a quietarmi l’animo commosso,
pria ch’io a dimandar, la bocca aprio,                           87

e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
col falso imaginar, sì che non vedi
ciò che vedresti se l’avessi scosso.                              90

Tu non se’ in terra, sì come tu credi;
ma folgore, fuggendo il proprio sito,
non corse come tu ch’ad esso riedi».                           93

S’io fui del primo dubbio disvestito
per le sorrise parolette brevi,
dentro ad un nuovo più fu’ inretito,                                 96

e dissi: «Già contento requievi
di grande ammirazion; ma ora ammiro
com’io trascenda questi corpi levi».                              99

Ond’ella, appresso d’un pio sospiro,
li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante
che madre fa sovra figlio deliro,                                     102

e cominciò: «Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che l’universo a Dio fa simigliante.  
                             105

Qui veggion l’alte creature l’orma
de l’etterno valore, il qual è fine
al quale è fatta la toccata norma.
                                   108

Ne l’ordine ch’io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
più al principio loro e men vicine;
                                  111

onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
con istinto a lei dato che la porti. 
                                  114

Questi ne porta il foco inver’ la luna;
questi ne’ cor mortali è permotore;
questi la terra in sé stringe e aduna;                            117

né pur le creature che son fore
d’intelligenza quest’arco saetta
ma quelle c’hanno intelletto e amore.                          120

La provedenza, che cotanto assetta,
del suo lume fa ‘l ciel sempre quieto
nel qual si volge quel c’ha maggior fretta;                   123

e ora lì, come a sito decreto,
cen porta la virtù di quella corda
che ciò che scocca drizza in segno lieto.                     126

Vero è che, come forma non s’accorda
molte fiate a l’intenzion de l’arte,
perch’a risponder la materia è sorda,                          129

così da questo corso si diparte
talor la creatura, c’ha podere
di piegar, così pinta, in altra parte;                                132

e sì come veder si può cadere
foco di nube, sì l’impeto primo
l’atterra torto da falso piacere.                                        135

Non dei più ammirar, se bene stimo,
lo tuo salir, se non come d’un rivo
se d’alto monte scende giuso ad imo.                         138

Maraviglia sarebbe in te se, privo
d’impedimento, giù ti fossi assiso,
com’a terra quiete in foco vivo».

Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso. 

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