sabato 13 giugno 2020

Sintesi finale e mappa per orientarsi nel blog

L'intento di questo blog è quello di mostrare come la riflessione intorno al concetto di Struttura riveli la profonda interconnessione esistente tra la Filosofia e l'Ingegneria, e di come una disciplina non possa fare a meno dell'altra.
Alle radici del concetto di struttura (Alle radici del concetto) vi è, tra le altre (Un abbecedario), quello di essenza, la ricerca della quale lega indissolubilmente le figure degli uomini di scienza e tecnica e dei filosofi, entrambi figli di un pensiero occidentale cui Socrate diede inizio, avviando maieuticamente i suoi discepoli sulla strada della conoscenza, invitandoli a porsi un eterno 'τί ἐστί;' (che cos'è?) di fronte alla struttura nascosta del cosmo e dell'uomo che tanto stupore (θαυμάζειν) destavano in loro. Esemplari sono lo sguardo di Leonardo da Vinci (Lo sguardo di Leonardo) nei confronti della natura e, molti secoli dopo, le intuizioni di quella che è considerata la prima programmatrice della storia, l'incantatrice di numeri, Ada Lovelace (Una struttura per il pensiero: la macchina analitica di Charles Babbage); per la prima volta si cercò di comprendere il funzionamento del ragionamento umano per poterlo tradurre in passaggi operativi che una macchina potesse svolgere in autonomia, un progetto che culminerà in anni recenti con l'invenzione delle reti neurali (La struttura del pensiero e le reti neurali). 
In Oriente invece le molteplici suggestioni che il termine struttura evoca vengono immortalate, come solo un disegno può fare, nella chiarezza immediata degli ideogrammi e, alla base del concetto, vi è quella di ordine e stabilità, rappresentata dalla trama intricata di radici di alberi millenari (etimologie a confronto: Oriente e Occidente).
Ma la struttura è un concetto polisemico e non si ferma a questa  prima interpretazione di essenza; l'idea di un 'insieme strutturato' ha pervaso la riflessione filosofica di tutti i secoli, a partire dalle onnicomprensive visioni cosmogoniche proposte dal mito (La risposta mitica alla struttura del cosmo), all'Iperuranio platonico (La struttura intellegibile dell'Iperuranio) e infine all'ordine universale dantesco (L'ordine divino universale). Ammettiamo che la "struttura" sia un insieme, le parti di questo insieme e i rapporti di queste parti tra loro; che sia un sistema in cui tutto è connesso, il tutto connesso e il sistema delle connessioni. Ecco che emergono già due aspetti della nozione "struttura": essa è l'oggetto in quanto strutturato o è l'insieme di relazioni, che strutturano l'oggetto ma che sono astraibili dall'oggetto?
Risponde Aristotele, il padre della riflessione strutturale, il quale usa tre termini per definire un arrangiamento organico: morfé, la forma fisica esterna al soggetto, l'eidos ovvero l'idea, la forma e l'ousia in cui si sostanzia (Il padre della riflessione strutturale). Ma a differenza di Platone (Mondo delle Idee), dove è più reale della cosa concreta, qui l'eidos non sta "fuori" dell'oggetto: si compone con la materia per dare origine al sinolo e difficilmente può essere definito prescindendo dalla materia in cui si sostanzia, di cui è forma.
Ed è su questa oscillazione tra struttura come modello strutturale(ossatura intellegibile) e come oggetto strutturato che ho condotto la ricerca presente nel blog. Ad un primo sguardo, il concetto di struttura come oggetto strutturato, frutto della tecnica, si ritrova nei grandi progetti dell'ingegneria, si pensi ai grandi acquedotti romani (Parole, storie di popoli), alla Tour Eiffel (La torre in ferro alta trecento metri) o dietro a un'idea come quella che portò all'invenzione della LEGO, che permise alle giovani menti di dare forma, con un atto di poiesis, alle strutture create dalla loro immaginazione, o di ricreare con un atto di mimesi quelle osservate dai loro occhi (A structure for your imagination). 
La struttura come modello strutturale si ritrova invece nelle visioni sistemiche e strutturate del reale che mirano a considerare nell'ottica di un sistema i fenomeni fisici (Teoria dei sistemi) e non solo, in quanto nel corso del Novecento, a partire dalla linguistica, il fenomeno dello Strutturalismo riguardò diversi campi del sapere, dalla psicanalisi, alla sociologia, al marxismo, alla critica letteraria, dietro ai quali si pensava esistessero delle strutture atemporali e conoscibili. Non bisogna però dimenticare che un tale approccio strutturalista, gerarchico e sistematico al reale avviene in un'ottica che è tutta occidentale, la cui tradizione è quella di un'Ontologia che non muta, non diviene, lontana dal pensiero orientale di cui Francois Jullien fece notare gli "scarti" rispetto all'Occidente, e nei quali ho intravisto la possibilità di una nuova etica per l'Occidente (L'etica dello scarto destrutturato); astrarre da ogni situazione, che è tale in quanto situata nell'attimo presente, un modello che al contrario è fuori dal tempo, impedisce alla mente di 'posizionarsi sulla soglia', distaccarsi da un modello che può finire con l'essere eccessivamente generico, e impedirle di incontrare l'alterità, la quale può esulare dalle catene di causa-effetto immaginate. 
La Natura è infatti un meccanismo cieco regolato da catene consequenziali volte alla conservazione di sé (Leopardi: struttura deterministica della Natura?) o un sistema complesso in cui anche solo il battito d'ali di una farfalla può scatenare un uragano?(Chaos Theory). Da un lato la forza di una tale visione occidentale permise negli anni settanta del Novecento di risvegliare le coscienze della comunità mondiale sulla questione della limitatezza delle risorse terrestri, in quanto, per la prima volta, la visione della Dinamica dei sistemi di Jay Forrester, adottata dal Club di Roma, portò a considerare il pianeta come un sistema di variabili intimamente interconnesse e non come un insieme di variabili senza influenze reciproche(Il sistema Terra e i Limiti allo sviluppo).
Dall'altro lato, un filosofo come Heidegger fa uso del termine Gestell (Das Gestell und die Physis) nel descrivere quella che definisce l'essenza della tecnica, termine che come sottolinea Franco Volpi  significa nell'uso comune della lingua tedesca proprio 'struttura' ed è un termine che ben si adatta a rappresentare ciò che la tecnica rappresenta rispetto alla Natura che, non essendo costruita da alcuno, ha in sé il principio della propria nascita e del proprio perire.
La contemporaneità invece sarebbe condannata all'Oblio dell'Essere, perchè avendo dimenticato che la tecnica è solo una delle modalità di rapporto con l'Essere e che la natura, phusys, non è 'puro fondo', essa considera anche se stessa come puro fondo con cui fare ciò che si vuole.
Questa cosiddetta struttura della soggettità sarebbe cominciata con l'introduzione della metafisica platonica che avrebbe diviso con la dottrina dei due mondi il mondo vero da quello apparente, condannando questo ad essere ente. E l'uomo allora sarebbe giustificato nel suo progetto di padroneggiamento conoscitivo e operativo.
E' questa dimenticanza a mio parere ad essere avvertita in tutta la sua gravità dal movimento antitecnologico trattato da Samuel Florman ne 'The Existential Pleasure of Engineering', ma ciò non significa che l'ingegneria debba essere denigrata come è stato fatto. La nuova consapevolezza auspicata da Heidegger infatti potrà diventare terreno d'incontro tra queste due realtà apparentemente contrastanti, Techne e Phusys e costituire una sfida per l'ingegneria del futuro che, come realizzarono ingegneri come Vilfredo Pareto e Filippo Burzio, non può disinteressarsi al contesto umano e sociale a cui sono indirizzate le proprie opere. Un esempio di questa nuova consapevolezza è dato dai progetti dell'architetto Vincent Callebaut volti a realizzare strutture organiche e biomimetiche per rinaturalizzare le nostre città e creare degli ecosistemi urbani integrati (L'Archibiotica, l'architettura del futuro).
Ritornando all'oscillazione iniziale tra le due grandi intepretazioni del concetto di "struttura" come oggetto strutturato o modello strutturale, resta aperta la domanda: l'eidos aristotelico, ovvero la struttura intellegibile della sostanza, a cui ora mi riferirò semplicemente come "forma", è un 'dato' o un 'posto', la trovo nella cosa o lo applico alla cosa per renderla intellegibile? La forma è nella cosa o nella mente di chi osserva la cosa?
In tal senso la letteratura offre esempi su cui riflettere. Il celebre Flatland, a Romance of Many Dimensions di Edwin A. Abbott postula l'esistenza di infinite dimensioni oltre a quella in cui siamo confinati (Come la letteratura interpreta la realtà) e il film "The Matrix" porta a domandarsi cosa significhi realtà. Ed è sulla scia del cambio di prospettive iniziato da Kant - il quale realizzò l'importanza della prospettiva nel processo di conoscenza facendosi iniziatore di quella Rivoluzione Copernicana della conoscenza (che pose al centro del processo cognitivo il soggetto con la propria mente e non più l'oggetto)- che penso che per comprendere la realtà intorno a noi sia in primis necessaria una comprensione più profonda della struttura del nostro pensiero, interfaccia con tutto ciò che è esterno e altro da noi. E la letteratura costituisce un primo passo in questa direzione, essendo frutto di quella immaginazione che gli autori dell'Enciclopedie ritenevano, al pari della memoria e della ragione, tassello imprescindibile del processo cognitivo. Nel libro 'La fine del Mondo e il Paese delle Meraviglie' Haruki Murakami si avventura nell'intricato labirinto della coscienza umana e arriva a sfiorare il solipsismo portando il lettore a chiedersi se la realtà stessa non sia un prodotto della nostra mente, simile a un intricato sistema di circuiti informatici tenuti separati da un labile meccanismo facilmente sormontabile. Oltre al circuito cosciente e quello inconscio sarebbe possibile implementarne altri alimentati dal 'nucleo di coscienza', una realtà mentale dentro a ciascuno di noi, inaccessibile ai più, in cui si nasconde la nostra essenza autentica, slegata dalle dimensioni cui siamo abituati a pensare e soprattutto atemporale.
La scoperta di questo meccanismo non solo rivelerà agli uomini la propria essenza, ma impedirà anche che essi finiscano vittime di un sistema che si basa in gran parte sulla persuasione e il controllo di massa, come la pandemia Covid-19 ha mostrato, forti della conoscenza di se stessi, del γνῶθι σαυτόν (La struttura del controllo di massa). Infine permetterà loro di aprire la mente alle verità ultime del reale, a lacerare il Velo di Maya schopenaueriano, un'idea su cui ho basato la serie tv intorno al concetto di struttura, intitolata "L'angelo di Pietra e Ferro".



Per una mappa concettuale del termine "struttura":
https://f270700.blogspot.com/2020/06/step-23-una-mappa-concettuale.html

venerdì 12 giugno 2020

Aristotele, padre della riflessione strutturale

Le differenze tra Platone e Aristotele: dalla politica al mondo ...
Scuola di Atene di Raffaello
  Ammettiamo che la "struttura" sia un insieme, le parti di questo insieme e i rapporti di queste parti tra loro; che sia un sistema in cui tutto è connesso, il tutto connesso e il sistema delle connessioni. Ecco che emergono già due aspetti della nozione "struttura": essa è l'oggetto in quanto strutturato o è l'insieme di relazioni, che strutturano l'oggetto ma che sono astraibili dall'oggetto? Risponde Aristotele, il padre della riflessione strutturale, il quale usa tre termini per definire un arrangiamento organico: morfé, la forma fisica esterna al soggetto, l'eidos ovvero l'idea e l'ousia in cui si sostanzia. Ma a differenza di Platone (Mondo delle Idee)dove è più reale della cosa concreta, qui l'eidos non sta "fuori" dell'oggetto: si compone con la materia per dare origine al sinolo e ne è l'atto al punto che l'eidos non si genera, non diviene (a differenza del pensiero cinese), c'è solo con e nella sostanza: è la struttura intellegibile della sostanza.
Se l'eidos è la struttura razionale e razionalizzabile di una sostanza particolare, dovrebbe essere il sistema di relazioni che regge la cosa e non la cosa. Ma per Aristotele l'eidos può essere difficilmente definito dalla materia di cui è l'atto, e quindi dall'ousia in cui si sostanzia.  A tal punto che quando Aristotele pensa ad una cosa da fare (ad es. l'architetto che pensa alla struttura di una casa), questa idea operativa non è detta eidos ma "proté ousia", "sostanza prima": già in embrione la forma non può apparire separata dalla cosa di cui è forma. C'è dunque in Aristotele una chiara oscillazione tra modello strutturale(ossatura intellegibile) e oggetto strutturato.
Fonti:  La struttura assente, Umberto Eco

Il Dialogo, "L'angelo di pietra e ferro"


“L’angelo di Pietra e Ferro”

Il dialogo si colloca nella terza puntata della serie tv "L'angelo di pietra e ferro" e vede Riccardo dialogare con l'ingegnere dinnanzi alle colossali rovine dell'antica cattedrale gotica:


 Riccardo-(meravigliato dalla scoperta di quel luogo)- “Questa struttura è così diversa dai palazzoni grigi della metropoli da cui vengo, mi pare un gigante che in un passato lontano abbia sostenuto la volta celeste”

Ingegnere- (indicando con la mano la vegetazione circostante)- “E’ l’impressione che abbiamo avuto anche noi; essa è in perfetta armonia con il paesaggio circostante e slanciandosi verso l’alto sembra essere stata eretta per collegare cielo e terra. Mani diverse da quelle cui siamo abituati oggi la costruirono.”

Riccardo “Cosa intendi dire?”

Ingegnere- “Vedi, questa fu più che una semplice costruzione. Rappresenta l’aspirazione dell’uomo verso una dimensione infinita e venne innalzata per il solo motivo di poter colmare questa tensione dell’animo umano. Io e i miei amici siamo fuggiti da una metropoli in cui le uniche idee a venire finanziate erano quelle che avessero un immediato risvolto economico. La spiritualità e la ricerca scientifica disinteressata non rientravano nella loro ottica.”

Riccardo “Gli ingegneri tecnici e gli scienziati ricercatori”

Ingegnere “Esatto, ma noi non siamo di questa idea. La ricerca è il motore che ci spinge a creare e la tecnica ci permette di realizzare le nostre idee. Lo sguardo e il cuore dello scienziato è quello che porta a interrogarci, ma se non fossimo anche ingegneri non sapremmo come adoperare nel modo giusto le mani, e innalzare una struttura come questa”

Riccardo –(osservando i compagni ai piedi della cattedrale)-“Come mai vi siete accampati qui intorno e ne state restaurando alcune parti?”
Ingegnere –(facendogli strada dentro alla cattedrale)-”Lo capirai da te, seguimi. Una volta dentro alla cattedrale, rivolgi gli occhi al cielo, ti dirò che cosa ci ha comunicato e cosa ci ha legati a questo luogo”
                                         

                   

Ingegnere- “Della cattedrale maestosa lo scorrere inesorabile del tempo non ha risparmiato che lo scheletro, la struttura portante dell’intero edificio, della quale puoi ammirarne le arcate a cielo aperto e i pilastri. La vista del cielo incorniciato dalle nervature di questa elegante struttura è stata per noi come una rivelazione della accessorietà del suo rivestimento passato e di ogni altro rivestimento in natura. Ciò che giace al fondo di ogni cosa esistente è la sua essenza, la sua struttura essenziale, mentre attorno non v’è che rumore; queste arcate, le uniche sopravvissute al tempo, ci hanno mostrato che nel reale tutto è struttura; ed è questa che noi indaghiamo.”

Riccardo-(aprendosi a quell’uomo che tanto gli stava rivelando e confessandogli il proprio dolore incolmabile)-“Qui dentro ho come la sensazione di sentirmi a casa, nonostante mi senta così piccolo rispetto alla colossale grandezza di questa struttura. Il vuoto che porto dentro per un attimo sembra essersi colmato, mi sembra piccolo rispetto a tanta grandezza.”

Ingegnere ”Non sei solo nel tuo dolore. Ho ribattezzato questa struttura architettonica “l’angelo di pietra e ferro” perchè essa rappresentò per tanti uomini una via di accesso a quell’ordine universale in cui filosofi e intellettuali di tutti i tempi cercarono di far rientrare il reale. Tutto è struttura e nel suo ordine le religioni e la filosofia hanno cercato di far rientrare anche la nostra sofferenza.”

Riccardo-(percependo dentro di sé il vuoto generato dalla perdita dell’amato nonno guarda con occhi lucidi le arcate che si stagliavano possenti sopra la sua testa)-

Ingegnere “Quando mi sedetti per la prima volta su questa pietra e guardai al cielo incorniciato da questi archi capii che la struttura più intima e profonda di questa dimensione in cui ci troviamo a vivere è solo una; la tua mente, Riccardo. Cosa vedi frapposto fra i tuoi occhi e il cielo lassù?”

Riccardo “Le arcate, lo scheletro di questo edificio”

Ingegnere “Esatto e questa cornice non è che la struttura della tua percezione, e come queste rovine, anch’essa sopravvive immutata nel tempo nella mente umana. Filtra il mondo che giace là fuori e di cui probabilmente nessuno ha ancora fatto esperienza. Ciò che ti fa vedere non è che una rappresentazione di questo, e le tue emozioni sono legate ad essa e non al mondo reale. Prendere coscienza della limitatezza dei nostri attuali sensi e di quella che è in realtà la struttura essenziale del tutto è l’unica rivelazione che ti insegnerà a convivere con il tuo incolmabile dolore”


mercoledì 10 giugno 2020

step #23 Una mappa concettuale

Una mappa concettuale di STRUTTURA...



Una mappa per aggettivi...

step #22 Una serie tv: L'angelo di Pietra e Ferro

L'angelo di Pietra e Ferro

Prima puntata-
La scena riprende Riccardo, un giovane di ventitré anni animato da un'inestinguibile curiosità intellettuale il quale si vede costretto, per via delle ristrettezze economiche in cui verte, a svolgere due mestieri contemporaneamente, alternandoli lungo il corso della giornata. Al pomeriggio indossa le vesti di un barista, un mestiere che non gli dava alcuna soddisfazione e che anzi lo costringeva a passare i propri giorni nel mezzo del grigiore assordante della metropoli che costituiva il suo piccolo universo. Egli non aveva mai avuto l'opportunità economica di allontanarsene e di viaggiare per quel mondo di cui coglieva qualche particolare sporadico nelle conversazioni della clientela del bar o sullo schermo del televisore del locale, quando questo non doveva mostrare ai suoi clienti alienati qualche programma calcistico. La sua fonte di felicità consisteva, oltre che nell'affetto più sincero per l'unico famigliare che gli era rimasto e con cui viveva, suo nonno, nell'impiego che era riuscito a ritagliarsi nelle ore del mattino in una modesta libreria d'antiquariato. Era qui, dietro agli scaffali odoranti di un tempo ormai passato che egli aveva scoperto poco tempo prima una collana di volumi sull'architettura monumentale e, inspiegabilmente, di fronte a una vecchia stampa raffigurante il Cenotafio per Newton, aveva avuto come un presentimento che la visione di quell'immagine non fosse stata una scoperta fortuita.
Nei giorni seguenti l'immagine di quel monumento mai costruito occupò la sua mente mentre si dirigeva sul luogo di lavoro, attraversando a piedi una città che allora più che mai sembrava volerlo soffocare tra le mura di palazzi tozzi e massicci, grigi e squallidi come i volti delle persone che gli passavano accanto.

Seconda puntata-
La vita di Riccardo sembra sull'orlo di crollare sotto al proprio peso in seguito a una telefonata; la sua guida, il suo unico legame rimasto, suo nonno, è mancato la mattina stessa.
Svuotato dal senso stesso della sua esistenza, Riccardo vaga incredulo per le strade mentre una voragine senza fondo si apre piano dentro di lui. Presto si ritrova sul limitare della metropoli oltre il quale gli era sempre mancato il tempo di inoltrarsi tanto era stato impegnato a lavorare per trovare di che vivere. Ma il vuoto lo conduce oltre, nel fitto della vegetazione al di là della periferia. Ed è così che dopo un tempo indeterminato si ritrova di fronte una visione spettacolare.
La scena riprende dal basso risalendo verso l'alto una struttura di dimensioni colossali e slanciate, la cui pietra levigata riflette la luce del sole abbagliando momentaneamente Riccardo. A poco a poco i suoi occhi si abituano alla luminosità del luogo ed egli crede di riconoscervi le rovine di una costruzione incredibilmente simile a quelle viste nelle stampe della libreria. La meraviglia è tanto grande che Riccardo non si accorge della presenza di diversi ragazzi, tutti intorno alla trentina d'anni , affaccendati ai piedi delle rovine. Finchè uno di loro gli si fa incontro sorridente.
Egli e i suoi compagni sono ingegneri, ma qualche anno prima decisero di lasciare la metropoli dalla quale anch'essi provenivano. Laureatisi con tanti buoni propositi e progetti, si ritrovarono a lavorare per un sistema il cui unico motore era il gretto interesse economico e che non era disposto a finanziare alcuna loro idea che non avesse un immediato risvolto pratico (La natura non è puro fondo). Fu così che decisero di abbandonare la grande città e cercare un altro luogo in cui portare avanti le loro ricerche animate da autentica sete di conocenza del mondo e dei suoi meccanismi( lo sguardo di Leonardo).

Terza puntata- L'angelo di pietra e ferro
L'ingegnere continua a narrare la storia del proprio gruppo di amici, spiegando come affittarono diversi van e partirono alla ricerca di un mondo diverso, ma non erano ancora partiti che trovarono quest'antica cattedrale gotica, così diversa dalle costruzioni cui erano abituati, che chiamarono "L'angelo di pietra e ferro". Essa si stagliava verso il cielo in tutta la sua grandezza, ma era in perfetta armonia con il paesaggio circostante (Struttura e Natura, Artificiale e Naturale), pareva lo scheletro di un gigante che in passato sosteneva la volta celeste. Comincia un lungo dialogo tra Riccardo e l'ingegnere che lo invita a inoltrarsi all'interno della cattedrale, di cui rimanevano le facciate laterali e, perfettamente conservate, le grandi arcate e i pinnacoli gotici. Gli ingegneri ne erano rimasti affascinati e si erano stabiliti con i loro van attorno al sito per poterne restaurare alcune parti. Ma ciò che era davvero insolito era la rivelazione che loro tutti avevano avuto nell'alzare gli occhi verso il cielo la cui visuale era incorniciata dalle arcate che un tempo avevano sostenuto il tetto. Il tempo aveva cancellato nei secoli ogni parte non necessaria della chiesa, ogni abbellimento, e ne aveva scoperto la struttura portante, il nucleo essenziale che aveva permesso al colosso di innalzarsi verso l'alto e di collegare cielo e terra.
Riccardo rivela che il dolore che lo assale e che lo ha condotto fino a lì è stato in qualche modo sopito, quella struttura maestosa gli ha fatto percepire la sua estrema finitudine e lo ha fatto sentire a casa. L'ingegnere spiega come nei secoli le grandi strutture, non solo architettoniche ma anche ideali
( Divina Commedia, L'iperuranio, La risposta mitica alla struttura del cosmo) abbiano sopito il dolore dell'uomo collocandolo in una dimensione cosmica di ordine universale dove poter trovare conforto dalla precarietà della condizione umana ( Il meccanismo cieco). Ma l'angelo di pietra aveva rivelato loro ben altro, ovvero che dietro ad ogni cosa si cela una struttura profonda che resiste allo scorrere del tempo e guardando al cielo attraverso la cornice delle arcate, l'ingegnere rivela a Riccardo come la struttura più antica sia quella che regola la nostra percezione delle cose, quella frapposta tra i nostri occhi e il mondo che osserviamo: la nostra mente. Quelle arcate frapposte tra cielo e terra non riflettono se non la struttura intima della nostra percezione che si configura come un filtro tra il mondo come rappresentazione e il mondo reale che rimarrà inconoscibile fino a che non si sarà sveleta l'essenza della mente( Le dimensioni della realtà e del pensieroThe Matrix). Questa scoperta sarà l'unica in grado di insegnare a Riccardo come convivere con il proprio incolmabile dolore.


martedì 9 giugno 2020

step #21 l'etica dello scarto destrutturato

L'opera di Francois Jullien icasticamente rappresentata dai libri 'Essere o Vivere' e 'L'Apparizione dell'altro, lo scarto e l'incontro' è a mio avviso occasione per una riflessione intorno a un'etica lontana dai paradigmi occidentali. Ci troviamo in un'epoca che si autodefinisce globalizzata, quando invece, proprio ora in concomitanza con lo scatenarsi di una pandemia globale, i gretti interessi economici di ogni nazione prevalgono sui diritti dei singoli e le Nazioni straniere diventano un potenziale concorrente e nemico. L'apertura all'Altro, di cui si è tanto discusso in Italia negli ultimi anni, non è che una comoda insegna di facciata per un Occidente abituato a interpretare il mondo in base all'opposizione identità-differenza. Esso, noi tutti, proveniamo da una lunga tradizione che parte dalla filosofia platonica per giungere a quella heideggeriana e si basa sulla ricerca della natura e definizione della Sostanza, la cui etimologia latina sub-stant-ia a indicare qualcosa che non muta mai in quanto 'sta sotto', ne costituisce le fondamenta, ne è la struttura portante. E abbattere i muri portanti significa far crollare sotto al proprio peso l'intero edificio che nella storia del pensiero di concretizzò nelle tante metafisiche esterne al mondo sensibile in cui l'uomo si alien-ò. Jullien propone un'alternativa gentile, svincolata dall'attacamento all'ego culturale cui si appartiene e dalla visione di un'identità immutabile, una visione che, se fatta propria, rivoluzionerebbe, sconvolgerebbe, in quanto diversa, ma risolverebbe tanti dissidi. Si pensi solo ai contrasti politici tra i virologi schierati dalla parte del potere vigente e gli scienziati che dal potere si sono tenuti lontani per condurre i loro studi per puro amore del sapere e della ricerca. Quando il bene dei cittadini doveva essere una priorità, l'interesse personale venne anteposto. Non solo, si pensi ai contrasti tra figure professionali diverse nella gestione di un problema comune a entrambi, conseguenza di un eccessiva specializzazione dei saperi del mondo attuale. Separati da barriere immaginarie e quanto mai robuste, il di-alogo tra discipline è ostacolato. Al contario il sapere è un Tutto organico e le varie discipline non sono aspetti intercorrelati di un sistema complesso ( una delle interpretazioni presentate in questo blog).
Jullien, filosofo ellenista apertosi alla Cina cercando un discorso obliquo con il pensiero orientale, compie quello che i filosofi scettici chiamavano ἐποχή ( epochè ), ovvero sospensione di giudizio. Per incontrare l'Altro, inteso nel senso di tutto ciò di esterno a noi, egli si libera dall'approccio strutturale e gerarchicamente e cronologicamente organizzato dell'Occidente che ricerca sempre le catene di causa ed effetto all'interno di un ordine consequenziale. Quest'approccio strutturalista, che in questo blog ho sostenuto e di cui ho mostrato i pregi, vacilla di fronte alle parole di Jullien, che invitano la mente a disfarsi, a portare alla luce quelle pieghe in cui si nasconde lo scarto. E il significato intimo di questo termine emerge da quel luogo in cui l'inconscio collettivo di una cultura sedimenta per primo: il linguaggio. La facile contrapposizione tra pensiero occidentale e orientale che vede nel primo la preminenza del Soggetto e nel secondo della Situazione è un'interpretazione scaturita da un pensiero che non si discosta dai propri paradigmi e contrappone in modo non complementare ingombranti categorie precostituite, quelle che antepongono il soggetto all'oggetto. Egli si ricorda delle proprie origini occidentali ma si posiziona sulla soglia nel momento dell'incontro con l'alterità, una soglia che permette l'accesso a, mentre rimanere indietro significherebbe ergersi a soggetto giudicante e impedire il fluire della pluralità che permette la conoscenza.
Scrive Francesca Ruina in "Un altro accesso all'alterità":
"Ben diverso dalla vecchia coppia filosofica identità-differenza, lo scarto di pone come una figura di disturbo(dérangement) e non di ordinamento (rangement), come ciò che non fa apparire identità ma fecondità, tensioni produttive."
E la ricerca dello scarto comincia per Jullien dalla lingua, dai sinonimi e non dalle antinomie come una mentalità occidentale sarebbe propensa a fare. Ed è così che realizziamo come la nostra lingua sia connotata a priori, sulla base del concetto di 'priorità' e 'direzionalità', tanto che nel domandare la statura usiamo le parole "Quanto sei alto/a?" e non "Quanto sei alto/a-basso/a?", con il rischio di offendere chi considera insoddisfacente la propria conformazione fisica, abituato a considerare l'altezza preferibile alla bassezza. Al contrario, in cinese la parola statura è
                             高低 (gãodī: alto-basso).



Emblematica in tal senso la parola cosa, connessa al latino 'causa' , perciò riconducibile alla visione consequenziale degli eventi, che in cinese si traduce in 'oriente e occidente', a indicare un tutto che comprende opposti complementari, senza confini netti di definizione, la cui essenza risiede nel nesso e non nell'identità:
                                                        东西  (döng xi:oriente e occidente)

 In conclusione, una nuova etica per quanto concerne il mondo occidentale può nascere nel momento in cui si prenda coscienza del macigno che ci portiamo dietro: l'Ontologia, un'ontologia che non muta e che impedisce l'accesso alla pluralità del termine cultura. E l'ambizione alla ricerca dello scarto destrutturato, in quanto libero da ogni visione strutturalista, risveglia dal torpore di un sonno protrattosi a lungo la mentalità occidentale, offrendole una possibilità di maturare senza la guida certa di alcuna metafisica.

Sintesi finale e mappa per orientarsi nel blog

L'intento di questo blog è quello di mostrare come la riflessione intorno al concetto di Struttura riveli la profonda interconnessione...